ROMA. Da due giorni Massimo D'Alema aveva capito che Fausto Bertinotti se l'era giocata con più spregiudicatezza. Aveva capito che Romano Prodi non lo avrebbe favorito. In parole povere aveva capito di non avere più chances. Ha resistito e combattuto per 48 ore, poi alle otto della sera, D'Alema ha riletto per l'ultima volta il comunicato col quale annunciava di rinunciare: «Vi è una contrapposizione che potrebbe portare dolorose lacerazioni e indebolire il governo», «ringazio i ds», ma «appartiene alle responsabilità del maggior partito assicurare la tenuta della maggioranza». E con parole meno formali in un comizio a Ravenna, D'Alema ha spiegato così il beau geste: «Non è mia abitudine fare i capricci per le poltrone». Da Romano Prodi un ringraziamento doveroso: «Ancora una volta i ds hanno dimostrato spirito di sacrificio e lealtà».
Il forfeit di D'Alema è arrivato quando mancavano pochi minuti alle 21, ma ovviamente è stato il frutto di una lunga trattativa a distanza. Anche se il colpo di grazia è arrivato nel colloquio serale tra Prodi e Bertinotti. Il segretario di Rifondazione avrebbe detto che lui era «pronto a tirarsi indietro», ma che il suo partito «a quel punto era interessato a postazioni importanti come gli Esteri e
l'Economia». Conosciuto il prezzo della rinuncia, D'Alema tra sé e sé ha commentato quel rilancio alla stregua di «una provocazione» e ha gettato la spugna.
Cosa farà ora colui che è stato il primo presidente del Consiglio nella storia italiana ad aver militato nel Pci? Nei colloqui informali delle ultime ore solidi ponti sul futuro non sono stati lanciati, ma Prodi ha fatto sapere che se D'Alema accettasse, sarà proprio lui il ministro degli Esteri del governo in via di formazione. Un amico di D'Alema, di quelli veri, non ha dubbi: «Massimo resterà presidente del partito, magari con un altro segretario. Questa vicenda è stata gestita in modo immorale: non si tiene per mesi e mesi un ex presidente del Consiglio a galleggiare così...». Uno dei personaggi più influenti del mondo dalemiano, il presidente della Regione Liguria Claudio Burlando, abbozza uno scenario diverso: «Poiché non ci sono motivi per escludere i ds dalle cariche istituzionali, credo che per quanto riguarda la presidenza della Repubblica sia opportuno pensare ad una personalità della sinistra italiana. Penso a Ciampi, se sarà disponibile, penso a Massimo D'Alema, a Giuliano Amato». Ma per "Baffino" la scalata al Colle si profila accidentatissima, perché Silvio Berlusconi - imprescindibile per il Quirinale - è pronto a votare per Ciampi, anche se, per dirla con Francesco Cossiga, il «candidato preferito del Cavaliere è Giuliano Amato».
Per il presidente ds è stata una rinuncia faticosa, costata giornate amare, segnate anche da qualche sprazzo del "vecchio" D'Alema, quello brusco con i cronisti: «Ma lei è de' coccio?», aveva detto due sere fa ad un giornalista di una tv privata. E ad una domanda pacifica di una cronista di "Radio Popolare" aveva risposto: «Lo vada a chiedere a Prodi, lassù al piano di sopra...», indicando con il dito l'ufficio del Professore. E certamente Prodi ha giocato un ruolo nella rinuncia di D'Alema, anche se il forfeit dalemiano si è prodotto per effetto di una mossa a tenaglia: da una parte il Professore non lo ha favorito, dall'altra Bertinotti ha alzato il prezzo, con la capacità negoziale di un sindacalista interessato non soltanto a scioperare ma anche ad incassare. Da mesi Prodi aveva sempre preferito la soluzione Bertinotti perché gli sembrava potesse blindare meglio la maggioranza. Ma poi nel convulso dopo-elezioni il Professore ha lasciato correre le due candidature contrapposte con l'effetto che il dualismo D'Alema-Bertinotti nelle ultime 48 ore era diventata una mina esplosiva come dimostano le telefonate e le e-mail piovute nelle sedi dei partiti: «Già vi dividete?». Il consiglio di Arturo Parisi, interpellato a vicenda oramai avanzata, ha consentito a Prodi di produrre un'argomentazione persuasiva con Fassino e D'Alema: «Ma vi sembra giusto che l'Ulivo abbia entrambe le presidenze delle Camere?». Più pesante l'argomento calato da Bertinotti nel colloquio con Prodi a Pasquetta: «Senza la presidenza della Camera, Rifondazione potrebbe limitarsi ad un appoggio esterno al governo». Ipotesi da brivido per Prodi ma anche per i Ds che di fatto ha chiuso la trattativa
(Josep Pla)
Adéu a Nihil Obstat | Hola a The Catalan Analyst
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dissabte, 22 d’abril del 2006
El Tripartit a la italiana
Article enviat per un amic. El futur govern italià promet ser més divertit que el Tripartit, encara que sembli impossible: