Giorgio Napolitano celebra al Quirinale, per il secondo anno, il Giorno del Ricordo, consegnando diplomi e medaglie agli eredi delle vittime delle foibe, che definisce «imperdonabile orrore contro l'umanità» aggiungendo: «Non dobbiamo tacere, dobbiamo assumerci la responsabilità dell' aver negato o teso a ignorare la verità per pregiudiziali ideologiche e cecità politica e dell' averla rimossa per calcoli diplomatici e convenienze internazionali». Un' ammissione senza alcuna attenuante delle responsabilità di un'intera classe politica, per quella che lo stesso Napolitano ha definito «la congiura del silenzio» sulla tragedia del popolo giuliano-dalmata.
Napolitano ha voluto richiamarsi esplicitamente al suo predecessore, Carlo Azeglio Ciampi, dicendo che ne raccoglie l'esempio circa «il dovere che le istituzioni della Repubblica sentono come proprio, a tutti i livelli, di un riconoscimento troppo a lungo mancato» delle tragedie di un intero popolo di istriani, fiumani e dalmati, che al confine orientale dell' Italia, dopo l'8 settembre '43, furono vittime di un «moto di odio e di furia sanguinaria e di un disegno annesionistico slavo che prevalse innanzitutto nel Trattato di pace del 1947 e che assunse i sinistri contorni di una pulizia etnica».
Una tragedia la cui memoria «ha rischiato di essere cancellata» e che invece, ha aggiunto il capo dello Stato, deve essere trasmessa ai giovani nello spirito della legge del 2004 che ha istituito il Giorno del Ricordo. Nell' autunno 1943, ha aggiunto Napolitano citando recenti riflessioni e ricerche, «si intrecciarono giustizialismo sommario e tumultuoso, parossismo nazionalista, rivalse sociali e un disegno di sradicamento della presenza italiana da quella che era e cessò di essere la Venezia Giulia». «La disumana ferocia delle foibe fu una delle barbarie del secolo scorso, in cui si intrecciarono in Europa cultura e barbarie. Non bisogna mai smarrire consapevolezza di ciò - ha sottolineato - nel valorizzare i tratti più nobili della nostra tradizione storica e nel consolidare i lineamenti di civiltà, di pace, di libertà, di tolleranza, di solidarietà della nuova Europa che stiamo costruendo da oltre 50 anni, e che è nata dal rifiuto dei nazionalismi aggressivi e oppressivi, da quello espresso nella guerra fascista a quello espresso nell' ondata di terrore jugoslavo in Venezia Giulia. La nuova Europa esclude naturalmente anche ogni revanchismo».
Lamentablement, notícies d'aquesta importància no son recollides per la majoria dels nostres mitjans de comunicació, més preocupats per la fidelitat político-ideològica que per la fidelitat informativa. Un dels pocs comentaris que s'han fet és l'escrit per Hermann Terscht a El País. Un comentari que tanca amb una mirada al que estem fent per aquí.
El silencio en torno a los crímenes del comunismo en Yugoslavia -y en todo el continente- se mantuvo décadas bajo la hegemonía cultural de la izquierda en Italia y Francia. Mientras allí se ha roto, en España, bajo nacionalismo y neoizquierdismo, se impone con gran potencial intimidatorio.
Según la lógica rota y denunciada ahora por Napolitano, quienes recordaran o denunciaran a las miles de víctimas de los partisanos en Istria y Dalmacia eran automáticamente acusados de "fascistas". Como quien recordaba a las decenas de miles de alemanes asesinados y los millones de deportados tras la guerra eran "revisionistas nazis", un recurso por cierto en el que coinciden los gemelos Kaczynski con los desaparecidos regímenes comunistas. También actúan así los adalides de la llamada "democracia avanzada" que se dicen de nuevas generaciones para reclamar como propios bandos y banderías de los abuelos que dividieron y enfrentaron a sus pueblos.